Non c’è un fiato di vento ad agitare le cime dei pini: il Foro Italico è immerso in una luce assoluta, e il caldo è quello del trionfo della primavera – lo stadio è vestito per gli Internazionali BNL d’Italia 2025. Il grigio delle sedute è completamente coperto dalla calca del pubblico – un continuo rimescolamento di teste, e magliette colorate. Occhi che scrutano gli spalti opposti, e il campo, proteggendosi dal sole con le mani.
Poco a poco, la folla smette di muoversi. Ognuno è al proprio posto, con il fiato agganciato a ciò che sta per accadere, e il brusio che persiste è soltanto l’effetto di una tensione, sottocutanea, che tiene i muscoli reattivi, il cuore in palpitazione. Al centro di quelle gradinate, il campo, ancora vuoto, è di un rosso talmente preciso e omogeneo da non ammettere termini di paragone: è una distesa di terracotta, fiammante, quieta e polverosa, viva.
D’un tratto, è tutto pronto. Il giudice di sedia è in postazione, sul suo trespolo, scuro e solenne, e i giudici di linea già mappano l’area con lo sguardo, come a sorvegliare quello spazio; i giovani raccattapalle, ai lati, attendono dritti e concentrati – negli occhi, l’eccitazione di poter vedere da vicino i propri idoli, di poter prendere parte, in qualche modo, all’apoteosi dello sport che sognano da sempre.
Poi, in un istante di sospensione generale – anche le rondini tra le cime dei pini sembrano arrestarsi per lasciare intatto quel silenzio – i giocatori appaiono a bordo campo, racchetta alla mano. La folla si getta subito in esultazioni e richiami, e l’aria si addensa di un rumore misto, festante. Ma quel silenzio, quella forma di concentrazione assorta, persiste sui volti di quelli che saranno i protagonisti del match: salutano i tifosi, pur sorridendo, ma la sovrabbondanza di quell’ambiente sembra non sfiorarli nemmeno. Nell’assetto delle loro spalle, nel bagliore delle loro pupille c’è ciò che, per l’essere umano, è il punto di congiunzione tra il limite delle proprie capacità e la possibilità del loro superamento: l’attenzione, quella totale, quella agganciata al qui e ora. È quasi un superpotere. È come se la pelle si espandesse, e arrivasse a rivestire tutto. Ogni angolo del campo è tenuto in conto, visibile anche oltre il confine dello sguardo; ogni movimento è studiato con distacco per maturare una reazione coerente, favorevole, i muscoli sempre pronti a seguire una nuova strategia; e la fiamma che arde nel petto, poi, è inchiodata alla vittoria.
È un atto di inclusione completa della realtà esterna e, allo stesso tempo, di semplificazione: per tutto il tempo della partita esisteranno pochi elementi, nitidi ed essenziali – le linee del campo, le traiettorie dei colpi, le dimensioni della rete, la tenuta sulla terra, le inclinazioni della racchetta. E dentro al corpo, la misura della fatica, il richiamo alla calma, l’energia e la resistenza delle fibre muscolari, e dello spirito. Il controllo sul ribollire del proprio sangue, del proprio sudore.
La folla si prepara all’inizio del match: è tutta un unico sguardo, puntato su quella toppa di terra rossa, a incorniciare i campioni che, dopo qualche gesto di scaramanzia, prendono posizione in campo. Il Foro Italico è immerso in un’attenzione assoluta, mentre la pallina compie il suo primo salto in aria – per un istante, sembra riuscire ad eclissare il sole. Poi, il primo colpo: l’ottantaduesima edizione del Torneo ha ufficialmente inizio.