La strada è uno di quei luoghi che, a mio avviso, dà migliore immagine di sé quando è sollevata dal suo incarico, insomma, quando è “in pausa” dal suo scopo principale. Nel vuoto di una notte tarda e piovosa, ad esempio, con i semafori che luccicano, l’asfalto che riflette il cielo, e l’acqua che rimbalza sul vetro, si può godere a pieno del suo fascino senza tempo. Sì, senza tempo perché la strada è qualcosa che è andata formandosi migliaia e migliaia di anni fa, di pari passo con l’inesauribile bisogno dell’uomo di spostarsi, di poter andare e tornare: di tanto in tanto, quando guido per la mia città, mi perdo nell’immaginare quando le strade erano circondate soltanto da boschi, e campi, o segnate da una pietra miliare, o costeggiate da pali di legno e qualche freccia sghemba a indicare le locande più vicine.
Fantasie a parte, quel che è certo è che la strada gode anche di un’aura di mistero, sebbene a volte si sappia perfettamente dove può portare: perché la strada è l’essenza stessa del viaggio, dell’imprevedibilità del percorso, della sorpresa del paesaggio – naturale o cittadino che sia. In un certo senso, si potrebbe dire che è una delle espressioni più immediate del grande gioco del mondo. E come qualsiasi gioco, soprattutto se così importante, la strada è capace di divertire soltanto se si rispettano delle regole precise: ecco, oggi ho deciso di riaffacciarmi a quelle regole.
Innanzitutto è affascinante vedere come, nel tempo, si siano articolate in combinazioni di forme, simboli e colori uguali in quasi tutto il mondo – ricordo ancora quando, da bambino, mi facevano ripetere frasi come “il triangolo ricorda una A, quindi indica Attenzione, pericolo”, o “il cerchio ricorda una O, quindi indica un Obbligo, un divieto”, e via dicendo. Segnali che, qualsiasi sia la loro applicazione – orizzontale, verticale, luminosa – servono a ricordare quanto la regola regina sia da sempre, e per sempre, la sicurezza.
Un po’ mi dispiace ripensare a quando, seduto su una sedia di plastica di una piccola Scuola Guida di quartiere, quasi mi annoiavo all’idea di dover assimilare tutte quelle misure, tutta quella prudenza; la strada mi sembrava qualcosa di elementare da affrontare, non c’era altro che scegliere dove andare e un mezzo per arrivarci, e nel frattempo badare a rispettare bene o male quei segnali, senza andare addosso a nessuno. Ma passata quella impazienza – e incoscienza – giovanile, e frequentata realmente la strada, ho capito quanto fossero indispensabili tutti quegli accorgimenti: stare in strada significa essere immerso nella frenesia della vita, propria e altrui, e bisogna avere a cuore il rispetto per quella stessa vita che, in una dimensione così carica di variabili e imprevisti, può davvero essere messa a rischio da qualcosa di minimo.
Ecco perché, tornando a quelle regole, si impara ad analizzare qualsiasi gesto: ho semplicemente cercato su internet quali fossero le cose di cui tenere conto quando si parla di sicurezza stradale e quasi mi si è aggrovigliato il cervello a vedere quanto fosse lunga, e particolare, la lista. Mi sono accorto che alcune di quelle cose sono diventate una sorta di automatismo, per fortuna ben radicate nel mio approccio alla guida; altre invece è stato bene rinfrescarle, riportarle a una memoria più lucida, più attiva. Potrebbero essere fatali cose come la troppa confidenza con il tragitto che si sta percorrendo, o girare la testa per parlare con un passeggero, o addirittura bere un caffè. Andando più nello specifico, tengo a riportare due dati che mi hanno fatto profondamente riflettere: colpi di sonno microscopici, anche di poche frazioni di secondo, a una velocità di 130 km/h comportano 36 metri di strada percorsa completamente alla cieca; così come guardare il cellulare per due secondi, anche solo per sbirciare una notifica, a una velocità di 50 km/h ne comporta 27.
È vero, detta così sembra che si debba evitare qualsiasi cosa – ascoltare la musica, intrattenere un dialogo, non essere del tutto riposati, o soltanto avere troppi pensieri per la testa – ma credo ci sia un buon senso in ognuno di noi che ci rende coscienti della nostra concentrazione. Perché, alla fine, l’altra faccia della sicurezza non è altro che l’attenzione. Forse è proprio questa la cosa più importante da tenere a mente: l’attenzione è l’unico elemento che nel flusso della vita – nel continuo incrociarsi di traiettorie e percorsi diversi – permette di non interrompere il grande gioco che il mondo ci mette tra le mani ogni giorno, e che dovrebbe ricordarci che la strada, anche se deserta, in una notte tarda e piovosa, ha delle regole da non dimenticare.