A Modena, su un piccolo cortile, si affaccia un laboratorio unico nel suo genere: al suo interno viene realizzato uno dei simboli culinari della città, con un tocco speciale sotto molti punti di vista. Questa realtà si chiama Tortellante, ed è un laboratorio terapeutico-abilitativo dove giovani e adulti con disturbo dello spettro autistico imparano a fare pasta fresca (e non solo). I presupposti sono semplici e magici allo stesso tempo, e i risultati di questa magnifica intuizione – che risale al 2016 – sono impressionanti: lì, oltre ai tortellini, si costruisce realmente una nuova vita.
Per dare ancora più visibilità a questo splendido progetto, abbiamo avuto la fortuna di poter intervistare Erika Coppelli – Fondatrice e Presidentessa, il cui figlio è stato uno dei primissimi coinvolti nel Tortellante – e Cristiana Lattuada – responsabile comunicazione MINI, che da anni ne è un sostenitore entusiasta – che ci hanno subito accolti con un’energia che ben rendeva l’idea di quanto fossero felici e quanto tenessero con tutto il cuore a raccontare questa straordinaria collaborazione.
Come è nata l’idea del Tortellante? Quando è stato il momento in cui vi siete sedute e vi siete guardate dicendo: “Sì, c’è bisogno di un progetto del genere”?
Dunque, partiamo dal principio. Io ero già Presidente di un’altra associazione di Modena che coinvolgeva diverse famiglie con ragazzi autistici: noi del direttivo dell’epoca, avendo dei figli che stavano per terminare il proprio percorso di studi a scuola, ci domandavamo spesso cosa avremmo potuto fare per loro e per il loro futuro. E qui va specificata una cosa: ormai è noto che, una volta finita la scuola, questi ragazzi purtroppo entrano in una sorta di vuoto sociale. È così in tutta Italia, e c’è molto ancora da costruire. È vero, ci sono tante terapie riabilitative per i più piccoli, ma il problema si presenta non appena raggiungono la maturità: queste terapie scemano fino a scomparire. Da questo, abbiamo avuto la nostra intuizione: occuparci di sopperire a quella mancanza e progettare qualcosa a favore di questi giovani adulti. Intuizione che ha preso una forma precisa quando Silvia Panini, un’altra mamma con cui sono in stretto contatto da sempre, ha riportato un aneddoto avvenuto in casa sua: era il periodo di Natale e aveva affidato il figlio autistico alla nonna che in quel momento stava preparando i tortellini; con grande sorpresa ha visto che lui contribuiva attivamente a realizzarli. Personalmente, l’ho trovata un’idea geniale, un’idea che – se strutturata bene – poteva davvero arrivare a trovare la soluzione che noi stavamo tanto cercando. Così abbiamo subito coinvolto una terza mamma, Lara Gilmore, la moglie di Massimo Bottura. Avendo tutte e tre figli della stessa età, e lo stesso desiderio di costruire un futuro per loro, davanti a un caffè ci siamo interfacciate a lungo e abbiamo preso la decisione di mettere in piedi ciò che ora è Il Tortellante (soprattutto grazie a Lara che, come è evidente, ha una conoscenza del mondo del food che ci tornava molto utile). Insomma, questo è stato l’inizio, l’incipit di questo splendido progetto.
Qual è, in questo caso, il miracolo che può avvenire solo grazie alla cucina?
Innanzitutto, il nostro intento è stato anche quello di unire due fragilità che hanno bisogno di attenzione e sostegno, chi per problemi anagrafici, chi per problemi chiaramente oggettivi, che a un certo punto della vita si ritrovano ad essere un po’ escluse dalla società, non più ritenute utili. Nel nostro caso, realizzare della pasta fresca come il tortellino, soprattutto in questo modo, ha permesso di ricreare un ambiente familiare caldo e accogliente che, secondo me, è la vera magia. La magia di trovare qualcosa da condividere e qualcuno con cui farlo, di fare delle cose che possono sembrare banali, ma che in realtà costruiscono storie vere, importanti. In più, la cosa sorprendente è anche che si forma un rapporto tra le nonne e i ragazzi, un rapporto che magari prima faceva fatica a trovare un avvio, una propria modalità, perché – è evidente – questi ragazzi sono speciali, sono nipoti speciali, un po’ diversi da quelli che le nonne solitamente accudiscono. È semplice quanto rivoluzionario: qui queste due fragilità fanno i tortellini insieme, e nel costruire un rapporto interpersonale, contribuiscono anche a tramandare una tradizione gastronomica fondamentale. Va da sé che abbiamo scelto il tortellino ovviamente perché veniamo da Modena: è il nostro prodotto tipico, quello che meglio identifica questo territorio, e tramandarne l’arte culinaria significa proprio dare rilevanza a una tradizione che nel tempo si stava perdendo, soprattutto in una società che corre, che è tremendamente veloce, che non ti permette di prenderti il tempo di farli a mano ma ti costringe a comprarli industriali, già fatti, al supermercato. E anche questa è una magia di cui possiamo andare orgogliose.
Il progetto si è sviluppato esattamente come lo immaginavate o avete avuto delle sorprese nel frattempo?
Onestamente, all’inizio cercavamo soltanto qualcosa che desse la possibilità ai nostri figli di intrattenersi e sviluppare delle capacità, come la manualità fine, che li coinvolgesse in cose che erano, in un certo senso, anche un po’ terapeutiche da un punto di vista abilitativo. Poi ci siamo rese conto – e questa è stata veramente una grandissima sorpresa – che i ragazzi riuscivano a fare i tortellini con precisione, tortellini che nell’ambito della pasta fresca sono il prodotto più difficile da realizzare, perché sono piccoli e richiedono un “giro” che se sbagliato anche di poco non permette al tortellino di rimanere chiuso in cottura. Ci siamo anche rese conto del fatto che questi ragazzi avevano solo bisogno di uno strumento per accedere a determinate capacità, e che attraverso quello strumento riuscivano tranquillamente a sviluppare delle abilità. Ripensandoci, è andato tutto anche oltre le nostre aspettative. Chiaramente, avendo a nostro supporto una figura come Massimo Bottura, che ha dato anche tanta visibilità al progetto, è stato facile perseguire un obiettivo che comunque ci era ben chiaro fin dal principio: la qualità. Non era assolutamente nostra intenzione realizzare un prodotto tanto per farlo: abbiamo scelto materie prime d’eccellenza del territorio, e abbiamo chiesto alle nonne – le famose azdore, le sfogline modenesi – di mostrare e spiegare come si preparasse il tortellino migliore. Volevamo fin da subito mettere in piedi un modo di lavorare che fosse di qualità, che ci portasse a fare i passi che poi abbiamo fatto. Volevamo realizzare un prodotto che fosse vendibile, degno di essere conosciuto, che portasse il consumatore a un nuovo acquisto e a un assaggio rinnovato nel tempo: che sia realizzato da dei ragazzi autistici è soltanto un valore aggiunto – volevamo assolutamente fuggire quell’alone di “beneficenza”. Insomma, volevamo dimostrare che i ragazzi potevano imparare un mestiere dignitoso, utile e valido che portasse a un prodotto identificabile come molto buono. E l’abbiamo fatto talmente buono che i nostri tortellini sono da anni nei ristoranti di Massimo Bottura, e ci ha permesso di trovare degli sponsor come MINI, che ci aiuta ad andare avanti nei nostri progetti. Oggi siamo anche – e questo perché Massimo declama i nostri tortellini e, per così dire, li porta in giro – in ristoranti di chef stellati come Berton, Pascucci e Perbellini, che li ordinano costantemente – e questo significa sicuramente che è un prodotto di qualità.
Come è nato il rapporto con MINI e BMW?
(qui è Cristiana a prendere la parola)
Nel 2019 stavamo sostenendo il progetto di un’altra associazione di cui Lara Gilmore faceva parte: quella è stata l’occasione che ci ha fornito anche i primi contatti con Massimo Bottura, con cui abbiamo iniziato a interfacciarci. Parlando insieme, poco a poco siamo venuti a conoscenza di questa realtà chiamata Il Tortellante e nel 2022 abbiamo avviato la prima collaborazione vera e propria. Ora facciamo tutto ciò che è in nostro potere per essere sempre al suo fianco e supportarla man mano che si ingrandisce e avvia nuovi progetti.
Che cosa avete provato voi, e che cosa hanno provato anche i ragazzi nel momento in cui avete capito che stava diventando un tortellino richiesto, un vero e proprio simbolo di qualcosa di più?
Vorrei innanzitutto specificare una cosa: Il Tortellante non è solo lavoro, ma è anche e soprattutto una palestra di autonomia. Abbiamo concepito il nostro Laboratorio un po’ come un’antica bottega di un artigiano, dove il piano terra è lo spazio dedicato al lavoro e il piano superiore all’abitazione. In questa sorta di piano terra i nostri ragazzi hanno l’opportunità di imparare e svolgere un lavoro dignitoso, come quello del confezionamento dei tortellini insieme alle nonne – con il supporto indispensabile di un’equipe scientifica altamente formata sull’autismo – al piano superiore invece hanno la possibilità di accedere ad un appartamento che li aiuti ad apprendere anche tutte le discipline di igiene personale e domestica e di socializzazione che gli permetteranno – ora che hanno venticinque anni o più – di arrivare preparati al momento in cui si dovranno staccare dalle famiglie a causa del loro naturale avanzamento d’età. Risulta molto evidente che debbano avere l’occasione di sviluppare tutte quelle autonomie che gli permettano di andare serenamente ad abitare in un altro luogo, dal momento che il “dopo di noi” è un fattore che non possiamo assolutamente ignorare e che spesso ci spaventa. Al Tortellante abbiamo soprattutto ragazzi a medio e basso funzionamento, che sarebbero quelli comunemente considerati come destinati al solo assistenzialismo, noi invece abbiamo dimostrato che le cose possono cambiare e che il miglioramento c’è, e sta funzionando ogni giorno.
(Cristiana prende nuovamente la parola)
Effettivamente la magia che questa realtà trasmette è indescrivibile, e noi di MINI pian piano abbiamo imparato a capirla e a farla nostra. Come diceva Erika, ci sono due aspetti sui quali noi abbiamo scelto di lavorare: da una parte la valorizzazione del talento e dall’altra il processo di autonomia. Valorizzazione del talento che abbiamo sviluppato insieme poi nel cercare di far apprezzare e di rendere visibile anche il risultato del lavoro di tutti quei ragazzi che non sarebbero riusciti a produrre un tortellino perfetto per essere venduto o per essere offerto sulla tavola di ristoranti stellati. Da questo è nato il progetto dei Brutti ma Buoni, insomma di questi tortellini non perfetti che la gente può comunque apprezzare e assaggiare, e vivere come una vera scelta culinaria in base alla qualità, al gusto, riconoscendo il lavoro che c’è stato dietro, senza semplicemente “adottare” il tortellino per atto di benevolenza. Per quanto riguarda l’autonomia, siamo molto felici sia un percorso già consolidato presso la loro struttura e che ora si andrà a delineare in un modo sempre più chiaro e ampio per portare tutte queste famiglie ad acquisire la serenità di sapere che i loro ragazzi sono e saranno in un luogo sicuro.
Quale sarà ancora il futuro insieme di Tortellante e MINI?
Ad oggi abbiamo costruito un presente piuttosto solido per i nostri ragazzi, ora dobbiamo continuare a dedicarci al discorso abitativo, al discorso del “dopo di noi”, a quello che li aspetterà nel prossimo futuro. In merito a questo, abbiamo anche costituito la Fondazione Modenese Autismo, per consentire di acquistare una palazzina proprio per realizzare il nostro desiderio: perché questi ragazzi meritano un luogo sicuro e protetto e familiare in cui poter essere più autonomi possibile, e le famiglie coinvolte meritano di avere la certezza di potersi rivolgere a un luogo di questo genere, bello e accogliente e creato da chi quella condizione la vive in prima persona e sa cosa serve per fare stare bene i ragazzi e le famiglie di conseguenza.
E quali sono i feedback che ricevete dai ragazzi coinvolti? Come vedete manifestarsi l’effetto di questo progetto?
I ragazzi sono tutti migliorati a livello cognitivo comportamentale. Abbiamo puntato molto sul versante educativo. Insieme a Franco Nardocci, l’ideatore delle linee guida sull’autismo per il Ministero della Sanità, abbiamo creato un team scientifico multidisciplinare composto da psicologi, psicoterapeuti e tecnici di riabilitazione psichiatrica preparatissimi, e tutti under 35. Specifico che questa scelta è dovuta al fatto che ci piaceva l’idea che l’equipe crescesse con i nostri figli, e che quindi facesse insieme a loro un vero tragitto di vita. Parallelamente, attraverso delle convenzioni con Unimore, l’Università di Modena e Reggio Emilia, si sono anche sviluppate delle ricerche: due sul miglioramento e sull’autonomia dei ragazzi, di cui una pubblicata in Italia e una su una rivista scientifica internazionale, e una terza dedicata allo stress familiare. Per rendere l’idea dell’efficacia, farò un esempio molto personale: mio figlio, che è un ventiseienne non verbale, oggi è nel medio funzionamento; prima era nel basso, ma in tre anni di Tortellante ha aumentato del 50% il suo quoziente intellettivo e il suo ritardo cognitivo è passato dall’essere gravissimo a lieve. È evidente, lavorando in un certo modo, e bene, e stimolando i ragazzi nel modo corretto, i risultati vengono da sé.
Invece, una curiosità mia: quanti tortellini vengono prodotti all’anno?
All’anno non ti saprei dire. So che vengono prodotti artigianalmente tra i quindici e i venti chili al giorno di tortellini fatti a mano – poi abbattuti e congelati per mantenerne la qualità e il colore, secondo i preziosissimi consigli di Massimo – che sono riservati alla ristorazione e ai consumatori modenesi nelle immediate vicinanze. Abbiamo però anche una seconda linea di tortellini, quelli della Bottega del Tortellante, dove tutte le settimane mandiamo dieci dei nostri ragazzi per prendere parte a una vera e propria azienda a conduzione familiare, dove si produce un tortellino che è semi-artigianale perché la chiusura avviene per mezzo di una macchina e la conservazione avviene per mezzo di sacchetti con atmosfera modificata in modo che abbia una durata di circa quarantadue giorni (il tortellino fresco invece ne dura tre soltanto). Da lì, questi tortellini possono andare ovunque, e non l’abbiamo fatto solo per averne da esportare, ma soprattutto perché i nostri ragazzi potessero avere anche la possibilità di vivere un reale inserimento lavorativo: uno dei nostri ragazzi per esempio ha da anni un contratto a tempo indeterminato.
Per concludere, se tu dovessi fare un augurio sia da mamma che da Presidentessa di questo progetto, ai ragazzi e alle loro famiglie cosa augureresti?
Io oggi sono una mamma serena, sono una mamma che ha capito le potenzialità del proprio figlio, che ha capito che ha un figlio che sta bene, che ha capito questo figlio è stato un bambino malinconico e triste perché non si sentiva capito senza alcuna possibilità di comunicarlo. Oggi, invece, ho un ragazzo – o meglio, un giovane uomo – che è contento della vita che fa, perché è un ragazzo sempre con il sorriso, un ragazzo che ha mantenuto e sviluppato la propria affettuosità, che esprime la voglia di venire al Tortellante per stare con gli amici. Quindi, l’augurio che mi faccio e che faccio a tutte le altre famiglie è proprio quello di trovare un luogo sicuro, una situazione che aggradi molto il proprio figlio e gli dia la possibilità di esprimersi – noi abbiamo provato con Il Tortellante, ma magari ci sono realtà che provano altre cose, ed è ugualmente stupendo. L’importante credo che sia trovare una comunità, e fare comunità, perché a volte chi ha un figlio autistico si chiude un po’ a riccio, un po’ a nido, perché alcuni passaggi di vita sono molto difficili. In più, ai genitori che entrano adesso in questo mondo così particolare mi permetto di dire che abbiamo costruito tanto noi che ora abbiamo figli grandi e che quindi c’è una strada già battuta a cui affidarsi, per cui essere sereni. Insomma, vorrei dire loro, semplicemente, che andrà tutto bene.
“Andrà tutto bene”, è proprio ciò che esprime la solarità invincibile di Erika che, oltre a commuoverci, ci ha messo anche una gran voglia di provare un piatto di quei tortellini deliziosi.

