Storytelling e racconti di sé: modalità presenti e future per l’intercultura. Alcune riflessioni ispirate da un film recente
Ricominciamo da dove abbiamo interrotto. Il film mostra un’umanità in perpetua migrazione da un pianeta all’altro. Con diversi tratti in comune con l’umanità attuale del pianeta Terra. Sarà sempre più un’umanità fatta di ibridazioni e meticciamenti. Di scontri e a incontri fra individui dalle identità profondamente diverse. Con valori diversi, spesso in contrasto fra loro.
Gli uomini e le donne dell’equipaggio della grande nave spaziale USS Enterprise (come i navigatori degli oceani dei secoli passati, come gli esploratori e gli astronauti attuali) saranno spinti da un’esigenza mai sopita di conoscere. Avranno ancora l’esigenza di esplorare pianeti nuovi o spersi nello spazio. Meandri e territori dei quali non sanno capire i pericoli.
I personaggi del film sono uomini e donne dai tratti somatici molto diversi fra loro, che nella loro missione incontrano un nemico difficile da combattere, che mette a rischio le vite dell’equipaggio e l’esistenza di tutta la Federazione.
Gli spettatori, attraverso quei personaggi possono immaginare le loro esistenze in un futuro lontano e profondo nel quale è possibile riconoscere alcuni riferimenti che sappiamo appartenere al nostro presente e che hanno molto a che fare con i dispositivi e le modalità della pedagogia interculturale.
I personaggi di quella grande nave spaziale[1], nelle loro conversazioni, fanno ricorso allo storytelling e al racconto di sé come modalità per riflettere sull’esistenza e per definire i valori comuni in cui credere. Fra una’impresa di combattimento e la successiva, sono inclini ad ascoltarsi reciprocamente e a scambiare racconti e ricordi familiari per ricercare i legami necessari fra passato e presente, fra se stessi e gli altri.
Seduti di fronte a plance di comando ricolme di bottoni e pulsanti, durante le pause i personaggi del film parlano, raccontano, riconoscono e dichiarano alcuni aspetti identitari profondi sulla base dei quali definiscono la propria singolarità di individui e scoprono le somiglianze con le esistenze degli altri.
Queste modalità di scambio fra esseri viventi hanno molto a che fare, sul piano epistemologico, con la costruzione del pensiero interculturale.
Lo storytelling, il racconto di sé, lo scambio di ricordi familiari, la ricerca di riferimenti identitari, sono modalità che appartengono alla storia dell’umanità. Sono diventate pratiche significative anche in campo pedagogico, educativo e della formazione degli adulti. Da alcuni anni sono entrate anche nelle pratiche della pedagogia interculturale a cui insegnanti e educatori possono appoggiarsi per tentare almeno alcune possibilità di conoscenza reciproca fra gli allievi nativi e gli allievi che arrivano a vivere nelle città italiane provenendo da paesi lontani.
Per dar vita a un clima d’aula interculturale non è sufficiente che i ragazzi siano compagni di classe e di banco. È indispensabile che vi sia l’intenzionalità pedagogica dei docenti, dei dirigenti, degli educatori, dei mediatori, cioè le figure adulte che guidano e orientano i processi educativi.
Gli sceneggiatori del film Star Trek Beyond sembrano dirci in modo implicito che l’approccio narrativo nell’intercultura avrà un ruolo importante anche negli anni futuri.
Le relazioni dei viventi con il mondo e quelle fra i viventi stessi saranno profonde, tenute in considerazione, necessarie, dialogiche.
Anche nel lontanissimo futuro immaginato, gli umani riusciranno a ricordare episodi e volti, si racconteranno storie che riguardano se stessi e i genitori, mostrando che le storie sono importanti per la costruzione delle identità individuali e continuano ad avere un peso nelle esistenze di tutti.
Testo della professoressa Mariangela Giusti, Università degli Studi di Milano-Bicocca
[1] Il capitano James Kirk, l’ing. Montgomery Scott, la ragazza Jaylah, il pilota Hikaru Sulu, il capo dei nemici Krall.
Nessun commento