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Clinica Mobile – riflessioni alla guida

Scuola Holden
Clinica mobile

Una mattina di settembre ho aiutato un’amica con un trasloco. Per spostare tutte le valigie e gli scatoloni abbiamo deciso di affidarci al car sharing. A poco più di duecento metri da casa abbiamo trovato una macchina che faceva al caso nostro. Abbiamo scaricato l’app di riferimento, ci siamo iscritti al servizio e abbiamo prenotato l’auto, che ha subito emesso una luce per farci capire che era pronta all’uso. Abbiamo aperto le portiere e siamo saliti, tutti presi dal nostro dialogo riguardo quanti tragitti fare e l’ordine in cui spostare le cose. Ho ritirato le chiavi dal vano portaoggetti, ho premuto il tasto di accensione e mi sono preparato alla guida. In quel momento, le parole mi si sono spente in bocca e la mia concentrazione si è incagliata. Leva del cambio inesistente e mancanza di un pedale volevano dire soltanto una cosa: cambio automatico. Può suonare anacronistico, ma era la prima volta che ci trovavamo di fronte a una situazione simile. Ci siamo presi qualche minuto per comprendere le lettere di fianco a una piccola leva, e siamo partiti, un po’ spaesati.

È incredibile come qualcosa pensato per semplificare un gesto quotidiano renda quello stesso gesto, per i primi istanti, di nuovo complesso, esigendo un’attenzione maggiore, uno stato mentale più concentrato. Ovviamente è stato immediato capire quanto fosse comodo non doversi dedicare a premere la frizione per cambiare marcia, ma una parte del corpo si è ritrovata all’improvviso senza uno scopo: la mia gamba sinistra sostava sul tappetino lasciandosi scappare di tanto in tanto un impulso in avanti, senza trovare alcun appoggio. Conscio di quella libertà motoria, ho deciso che potevo utilizzarla per sostituire l’azione del piede destro in frenata. Siamo arrivati a un semaforo rosso, allora ho premuto il piede sinistro sul freno. Il risultato è stato un’inchiodata degna di un ragazzo che, ancora senza patente, si infila nella macchina del padre e prova a guidare senza saperne nulla. Subito ho accusato la sensibilità del pedale, ma quando ho affidato di nuovo quel gesto al piede destro, l’auto si è fermata gradualmente, morbida, senza strattoni. Questo perché – e l’ho compreso solo in quel momento – le mie gambe erano abituate a esercitare una pressione del tutto differente: forte e immediata dal lato a cui affidavo la frizione, delicata e progressiva da quello a cui riservavo acceleratore e freno. Va da sé che abituarsi ha richiesto qualche chilometro di strada, in cui entrambi ridevamo di ogni piccolo sussulto.

Durante quegli spostamenti ho ripensato spesso a quando avevo diciotto anni: fiero del mio foglio rosa, affrontavo le lezioni di scuola guida sentendo di non riuscire ad avere occhi per tutto – controllavo in continuazione la mia mano per spostare la leva del cambio, facevo rimbalzare lo sguardo dai pedali, agli specchietti, alla strada, al cruscotto, senza riuscire a godermi niente né di cosa stavo facendo né di cosa avevo attorno. Poi, la guida era diventata via via più fluida, e il mio corpo agiva più in fretta del mio pensiero, come se la memoria di tutti quei gesti fosse innanzitutto muscolare, ancor prima che mentale. Ed era ciò che mi stava accadendo di nuovo, alla guida di quella macchina elettrica con il cambio automatico, man mano che percorrevo la strada, sempre più rilassato.

È una sorta di automatismo vigile, quello della guida. Il corpo diventa a sua volta una macchina, che fa il proprio dovere con efficienza e tempismo, ben calibrata e coordinata. E la mente vive un’alternanza fulminea tra piacere e attenzione: a tutta una serie di micro-valutazioni per la propria sicurezza, si intervallano momenti di serenità – godere del paesaggio, della propria velocità sulla strada, della musica mentre si viaggia, dell’aria che entra dal finestrino, e tutte quelle piccole soddisfazioni che solo la guida può regalare.

Quando abbiamo lasciato la macchina, a trasloco compiuto, ho sentito di essermi divertito come quando, finalmente in possesso della patente, iniziavo a vivere la guida come qualcosa che mi emozionava, e – perché no – faceva sentire anche un po’ figo. Ma meccaniche di guida a parte, quello che è bello notare è che, con gli anni, quell’automatismo è sempre più nutrito da un senso di responsabilità, che oltre a diventare una capacità consolidata, si manifesta come rispetto nei confronti degli altri, e di quelle regole che tutti siamo chiamati a rispettare quando siamo seduti di fronte a un volante.